06-06-2007

 

 

‘VELLUTO BLU’ secondo Alan J-K-68 Tasselli alias Luca Comanducci

 

 

In realtà 'Velluto Blu' (e forse, tendo ad abbozzare, tutto il credo cinematografico di Lynch) potrebbe essere riassunto attraverso la scena in cui Jeffrey/Kyle Maclachlan scorge, nascosto in un lembo di prato a pochi metri da casa sua, un orecchio umano reciso di netto: ecco: il cinema (o meglio: la 'visione cinematografica') di David Lynch è racchiusa in questa raccapricciante sequenza: un mondo che, se visto solo in superficie, appare quieto, inoffensivo, pacato, di una tranquillità quasi morbosa, fin troppo lineare e scontato; ma che, se analizzato con prospettiva più cinica e spietata, si trasforma (quasi fosse il risultato di un sortilegio malefico) in un sottobosco di inaudita, shockante perversione, impensabile, inimmaginabile per quella gente abituata ad una esistenza ordinaria e senza colore. Lynch ‘fotografa’ una realtà a due strati: una dominata dalla razionalità e dalla logica, l'altra racchiusa in una spirale di vorticosa perversione, sorta di 'dimensione parallela' abitata da piccoli demoni e gangsters paranoici, stupratori e sadici decerebrati. Il tutto beffardamente 'condito' da una (quasi 'pornograficamente' sciropposa) nenia: 'Blue Velvet' (vecchio hit di Bobby Vinton), brano da cui deriva il titolo della pellicola.. Impagabile 'alfiere del male' è un debordante Dennis Hopper (in quello che, probabilmente, resta il ruolo migliore di una carriera ineguagliabile), sublime paradigma dell' 'estraneo nella notte' che nessun (bravo) ragazzo vorrebbe incrociare sul suo cammino...: Hopper/Booth simboleggia con mirabile pathos ed intensità l'epitome di una schizophrenia incontrollata ed incontrollabile, fagocitata da fobie e perversioni al limite della comprensione umana, perfetto prototipo di 'gangster post-moderno': imprevedibile, maniaco, violentatore, stupratore, paranoico, 'supremo cultore della scopata': il Frank Booth di Hopper è tra i deviati di mente meglio tratteggiati del Cinema e chi, meglio dell''(ex?)-enfant terrible' di Hollywood (memore di innumerevoli morti sfiorate e stra-abuso di droghe ed alcool), poteva rendere credibile un 'deflagratore dell'ordinario' simile?...

Compaiono, in alcuni tratti e personaggi del film, situazioni quasi ‘pulp’ pre-tarantiniane: in tal senso, la ‘scena madre’ è costituita dalla ‘’In Dreams’ Scene’: ai miei occhi cuore e mente essa ha la stessa mephistofelica ilarità della celeberrima 'Singin' in the rain' in 'Arancia Meccanica' di Kubrick: un concentrato di melodia e sadismo, grottesco ed allucinazione, acido dramma e nevrosi soffocate. Il microfono illuminato (un pacchiano incrocio tra un microfono old-aged ed una lampadina…!) attraverso il quale Dean Stockwell mima in playback ‘In Dreams’ di Roy Orbison, crea un lacerante contrasto con le malate espressioni facciali (a metà tra l’estasiato/eccitato ed un’abrasiva insofferenza in-progress) di Booth/Hopper. Attorno loro, una cerchia di invertiti e decerebrati, un’’insalata di feccia’ che un cassonetto per l’immondizia sotto forma di asfittica esistenza notturna sembra aver vomitato in quella stanza.

Non c’è reale trama: i personaggi, caratterizzati al minimo indispensabile, si prestano tutt’al più a ruolo di ‘comparse’, sorta di sagome perfettamente complementari alla ‘fame visiva e visionaria’ del regista. Per non parlare della sceneggiatura, a tratti semplicemente imbarazzante, quasi dilettantesca: frasi come ‘Ma è proprio uno strano mondo…’ (pronunciata da una giovanissima Laura Dern), nel modo in cui viene espressa, sembra quasi rimandare alle esternazioni estasiate (per quel concerne i toni di stupefacenza e sorpresa) di Alice Liddell ne ‘Alice nel Paese delle Meraviglie’… Il tessuto simil-thrilleristico della pellicola non è da meno: scollacciato, accompagnato da dialoghi alquanto risibili, sempre sull’orlo di una superficialità conclamata.

David Lynch non è mai stato (e mai sarà) un regista ‘accomodante’, uno di quei cineasti in grado di soddisfare, 9 volte su 10, sia critica che pubblico: una volta portata a termine la visione di ‘Velluto Blu’ (ma lo stesso discorso vale per tutte le altre pellicole post-‘Blue Velvet’, a cominciare dall’osannatissimo e pompatissimo ‘Twin Peaks’) il critico più accorto ed intransigente non può non domandarsi, circondato da un’aura di laconicità e sferzante dubbiosità: ‘Ma… si tratta di Arte… o di ARTEFATTO?… Abbiamo assistito all’opera sublime di un regista Nuovo Indiscusso Maestro del Visionario, oppure abbiamo a che fare con uno dei (tanti) ‘millantatori dell’immagine’ del Cinema attuale?… Forma o sostanza? Genialità o estrema furbizia?…’

In fondo buona parte del fascino che la Settima Arte ‘inietta’ nelle vene emotive degli spettatori è costituita da quella sottilissima demarcazione che separa il Cinema VERO quello FASULLO, i cineasti ispirati da quelli truffaldini. E non posso che lasciare vacanti, ‘provocatoriamente sospesi’, i miei (e fors’anche vostri) ‘atroci’ dubbi in merito al reale ‘quoziente cinematografico’ di Mr. Lynch, in attesa che siate VOI ad esprimere pareri senz’altro più concisi e meno estremi dei miei……..

 

Alan J-K-68 Tasselli alias Luca Comanducci

 

Questo testo è depositato presso www.neteditor.it quindi coperto da diritti d'autore. Esso non potrà essere riprodotto totalmente o parzialmente senza il consenso dell'autore stesso