11-02-2007
‘IT’S A BEAUTIFUL DAY’ secondo Alan J-K-68 Tasselli
Prendete
Grace Slick e Marty Balin versione-'After Bathing At Baxter's'; aggiungetevi un
violino elettrico, un pizzico di acido lisergico, garbate reminiscenze
classiche, immagini tratte da una San Francisco 'imbevuta' di crepuscolarismo
(in fondo, si tratta del 1969-quasi-1970); miscelate il tutto con sensibilità,
spargendo qua e là chiaroscuri dettati da stati malinconici 'figli' di un
Autunno alle porte; un dolce decadentismo avvolge prima, scioglie, poi, le
nostre utopie. Una volta portate a termine le suddette operazioni, il prodotto
finito risponderà al nome di 'It's A Beautiful Day', l'album omonimo di esordio
di una band purtroppo, oggi, del tutto dimenticata.
Sin dalle primissime
battute di ‘White Bird’, brano di apertura dell’LP, ci si imbatte in un
crescente flusso di voci e sonorità incantatorie: un incrocio tra fiaba e senso
di disillusione per amori che non troveranno più la via del ritorno; ballate
dimesse solcate da qualche lacrima invisibile e pianti silenziosi. Sembra quasi
il logico completamento, solo più accentuatamente malinconico, del già citato ‘After
Bathing At Baxter’s’ dei Jefferson Airplane (1967): qui emerge un senso
di dispiaciuta consapevolezza verso un’utopia prossima alla dissoluzione, una
generazione che sta per smarrire (e per sempre) l’’Estate dell’Amore’,
una generazione dubbiosa e perplessa, impaurita e spaesata su come affrontare
l’imminente Autunno Esistenziale. ‘Hot Summer Day’, la seconda traccia
(nonché ideale ‘seguito’ di ‘White Bird’), fotografa egregiamente
questo ‘limbo emotivo’, all’interno del quale gli ideali hippie e
l’’Era dell’Acquario’ lasciano gradualmente spazio a percezioni di ansia
ed incertezza. E quel violino divinamente ‘accarezzato’ da David La Flamme
(già nel giro di Jerry Garcia & Co., mica un cretino qualunque…)…. ora
ansimante ed insolente, ora tenue e morbido come una cascata di carezze sul
nostro viso, assoluto ‘prim’attore’ di questo ispirato esordio. E poi…
in qualità di ‘terza implacabile stoccata’: ‘Bombay Calling’, i cui
fraseggi iniziali troveranno (ingiusta) immortalità nell’ormai
conclamatissimo plagio ad opera dei Deep Purple: mi riferisco, naturalmente,
all’ultra-celeberrima ‘Child In Time’, la quale, come ‘scippo epocale’,
è, a mio avviso, seconda solo a ‘You’re So Fine/My Sweet Lord’ (la prima,
edita nel 1963, ad opera delle Chiffons, la seconda, edita nel 1970, composta da
George Harrison)….. (per (spietato) dovere di (spietata) cronaca, i Nostri,
tutt’altro che degli sprovveduti, si riprenderanno la loro sacrosanta (e
meritatissima, beffarda) rivincita plagiando ‘Wring That Neck’ dei medesimi
Purple: procuratevi ‘Marrying Maiden’, seconda fatica discografica di La
Flamme e Soci, dopo-di-che dilettatevi spassosamente nell’ascolto del brano di
apertura, ovvero ‘Don And Dewey’… eh eh eh eh eh eh))…
Se l’impatto
‘sonoro-incantantorio’ delle prime due tracce è pressoché ineguagliabile,
sia in termini di pathos che di melodia, ‘Girl With No Eyes’, con quel
subliminale contrasto tra harpsichord, violino e chitarra, avvolge mirabilmente
i sensi dell’ascoltatore, ‘spargendo’ atmosfere dal levigato senso
dissolutivo: fraseggi reiterati che si incollano nella mia mente prossima ad una
irrefrenabile ‘assuefazione-in-progress’.
Infine, ‘Time
Is’, la quale funge, ai miei occhi cuore e mente, da reinterpretazione di
‘Your Time Has Come’ dei ‘Chamber’s Brothers’: stesso potere
evocativo, stessa martellante solennità da trip-lisergico, uno di quei pezzi
che (senza remora alcuna) ti scomoderesti ad incastrare in qualche finale
apocalittico cinematografico, perfetto complemento ‘trip-melodico’ ad una
imminente fine del mondo.
In definitiva, il
‘capolavoro misconosciuto per antonomasia’.
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