16-01-2007

 

 

 

 

'CHI UCCIDERA' CHARLIE VARRICK' secondo Alan J-K-68 Tasselli

 

 

Se mai dovessi citare il 'poliziesco per antonomasia' degli anni '70 (e secondo mio personale preferito, dietro a 'Bullitt' di Peter Yates) sarebbe 'Chi Ucciderà Charlie Varrick' ('Charlie Varrick', Don Siegel, 1973).

cinico, splendidamente efferato e spietato, esemplarmente anti-emotivo, privo del minimo cenno di indulgenza nei confronti della psicologia dei personaggi ivi rappresentati. Un magistrale thriller ad incastro, assai più simile ad una scacchiera all'interno della quale i pedoni agiscono costantemente appesi ad un sottilissimo filo che separa la vita dalla morte, spesso una morte violenta, senza alcuna concessione al sentimentalismo o, se preferite, alla pietà. Tutto ruota intorno a Charlie Varrick (un misuratissimo, al contempo diabolico Walter Matthau, sublime esempio del grande caratterista che passa, con eccezionale disinvoltura, dai toni leggeri e disincantati della commedia a quelli più rocambolescamente drammatici del thriller/poliziesco). Attorno alla sua figura alcuni 'ceffi' tra i meglio calibrati della storia del poliziesco, personaggi di impressionante cinismo e perciò stramaledettamente reali, lontani anni-luce dagli stereotipi esibizionistici iper-sfruttati dall'industria cinematografica americana: su tutti svetta Molly (Joe Don Baker),'campione' di ferocia ed astuzia, ai miei occhi (fissi), cuore (contratto) e mente (risucchiata) il prototipo par excellence del 'mobster' in celluloide: cinico ed intuitivo quanto basta per scardinare anche i rivali più agguerriti e pericolosi. A suo modo un anarchico. Sanguinario e calcolatore, è Molly l’antagonista eletto, il pericolo n.1 da cui Varrick/Matthau dovrà guardarsi.

'Charlie Varrick' costituisce l'ideale continuazione di capisaldi quali il già citato 'Bullitt', ‘Getaway’ di Sam Peckinpah e, soprattutto, 'Rapina A Mano Armata': questi ultimi due, ipotizza il sottoscritto, potrebbero aver funto da principale ispirazione per il grande Don Siegel: medesima 'freddezza esecutiva', medesima predisposizione verso il minimale, stessa asciuttezza per quel che concerne la sintassi narrativa; non una sola battuta, non un solo secondo di questo thriller sembra essere fuori-posto. Rara la chirurgica, glaciale precisione con la quale le tessere di questo schizophrenico puzzle vengono incasellate, favorendo, fotogramma dopo fotogramma, un senso di tensione dalla progressione inarrestabile, culminante nel colpo di scena finale, beffardo ed apocalittico al tempo stesso.

In 'Charlie Varrick' non ci sono né vincitori, né vinti, ma solo sopravvissuti. Come d'altronde in 'Rapina A Mano Armata', altra impareggiabile lezione impartita da un cineasta (Kubrick) che evade coraggiosamente dall’abusato cliché onde cimentarsi in una ‘strategia della tensione narrativa’ dagli sbocchi imprevedibili, talvolta shockanti.

In ‘Charlie Varrick’ non viene decretato verdetto alcuno, non viene concesso né dato tempo al pubblico di riflettere sulla (non-)moralità dei protagonisti, bensì è un marcato, tagliente realismo che si impone come unico comune denominatore.

Anzi... a ben vedere, è proprio la realtà, in tutta la sua spietata, tragica e rocambolesca follia, ad assurgere a più spettacolare ed efficace effetto speciale della Settima Arte.

Almeno… quando dietro la macchina da presa sedeva un certo Don Siegel….

 

Alan J-K-68 Tasselli alias Luca Comanducci

 

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