07-11-2005

 

 

 

‘MATTHEW’S LONGEST NIGHT’

 

...Matthew è al centro della sua folle, solitaria corsa verso una meta invisibile nel cuore di una notte scabrosa, notte senza fine, notte senza proposito alcuno. Corre sull'erba bagnata di un parco che divide in due una strada un tempo battuta da gangsters e prostitute. Neanche un'ora fa si trovava al 'Maverick Theatre', ove si era recato per assistere ad un concerto Gospel, raro momento di svago in mezzo ad una vita frenetica e ricca di imprevisti. Un quadro di musica e pace allo stesso tempo, un quadro quanto mai lontano anni-luce da ciò che Matthew avrebbe vissuto di lì a poco. I mocassini inzuppati d'acqua e la pelle sudaticcia ed appiccicosa si ergono immediatamente ad emblema di una nottataccia che non avrà eguali, nell'immaginario emotivo del Nostro. Anche i lampioni sovrastanti i lunghi viali non fanno che, diabolicamente, accentuare un clima di sadica incertezza: emanano un tenebroso fascio di luce rossastra, sinistro ed inquietante: esso va a creare, ben presto, una suggestiva immagine: si ha la netta, pressante sensazione di star assistendo ad un fotografo rinchiuso in una stanza a 'luce inattinica', intento a sviluppare, prima, ed a stampare poi, gli scatti raffiguranti gli stati emotivi in continua evoluzione del fuggiasco. …non siamo certo molto lontani da quella che è la realtà: Matthew si sente irreversibilmente braccato, attaccato, inseguito, minacciato, ‘posseduto’ da qualcosa che ancora non ha nome, ne’ definizione: è la notte, in tutto il suo cinismo ed imprevedibilità, che si diverte a 'scattare' quelle 'foto', prendendo spietatamente di mira un casuale, anonimo individuo che, fino a pochi minuti prima, mai avrebbe potuto credere di trovarsi in una situazione così assurda, 'inghiottito' da una giungla di demoni e nevrosi, sudore e terrore, criminali e sangue, fantasmi ed echi. Non è tanto un film sulla fuga, quanto una ‘celebrazione dell’imprevisto’, esso inteso come spasmodico susseguirsi e sovrapporsi di vicende ed incontri totalmente estranei alle nostre abitudini. ‘Nulla è scontato ma, allo stesso tempo, nulla deve essere dato per perso’, questo il ‘motto’ del film ma anche asse portante del mio ‘credo filosofico-esistenziale’: in fondo, una vita senza eccitanti imprevisti non varrebbe la pena di essere vissuta, non credete?……

La musica è un elemento determinante, cruciale affinche’ la narrazione di una vicenda acquisisca quel ‘sapore magnetico’ in grado di ‘assorbire’, piacevolmente ‘assuefare’ la mente dello spettatore: essa funge da idilliaco complemento ai palpiti emotivi ed alle scariche di nevrosi del protagonista: lunghe, strascicate, imperfette note di una tromba che via via si fa sempre più ficcante ed insolente, note alle quali, a tratti, si sovrappongono, violenti e minacciosi, quasi zoppicanti, glaciali tambureggiamenti qui intesi come ‘raffigurazione sonora’ dei battiti cardiaci del fuggiasco. Gli acutissimi strilli di fiati gli uni disordinatamente sovrapposti agli altri vorrebbero incutere allo spettatore lo stesso bruciore che tagli ed escoriazioni stanno provocando alla pelle di Matthew: un’immagine sonora cruda, asettica, sudicia, scabrosa. E’ una notte d’Estate, ma la spessa, ingombrante afosità è in esemplare contrasto con la ‘glacialità emotiva’ che, progressivamente e con passo impetuoso, si sta impadronendo del film.

In definitiva, una trama che è irrefrenabile tripudio di contrasti: le (illusorie) certezze di Matthew sfociano implacabilmente in scampoli di efferato crimine notturno: al silenzio non vengono che regalati scarni spiccioli di tempo: come se il nostro corpo, durante momenti di apparente placidità, venisse ‘corrotto’, prima, ‘trafitto’, poi, da scariche di elettroshock, tanto inaspettate quanto indesiderate. Una pellicola che rifiuta (deve rifiutare!) ogni sorta di ‘effetto-speciale-accattone’, in quanto l’unico, autentico, genuino effetto speciale presente in ‘MATTHEW’S LONGEST NIGHT’ è la tensione, la paura, i continui cambi di ritmo, ora sincopati, ora a rotta di collo, dei battiti cardiaci del protagonista: è attraverso il senso di incertezza, e quindi del ‘cosa avverrà nella prossima scena?…’, ‘chi si starà nascondendo dietro quella sinistra inquadratura?…’ che viene espressa l’anima del film: non un ‘action-movie’, bensì una concatenazione di eventi, in bilico tra assurdo e grottesco, tutto giocato su indecifrabili echi, oniriche assonanze, sature atmosfere, volti tinti di fosco, risate prima accelerate poi decelerate, andanti a creare un calvario sonoro di schizophrenia collettiva, ma una schizophrenia quasi ‘strozzata’, non sempre esplicita, follia che si insinua, diabolicamente, nelle orecchie di spettatori e protagonista: come essere colpiti da attacchi epilettici mentre soccombenti ad una febbre altissima. Le scene di calda, entusiasta partecipazione emotiva che si sovrappongono irrefrenabilmente al ‘Maverick Theatre’ (durante la performance del Coro Gospel) si intersecano, con gelida perfidia, con i frammenti di affannosa corsa di Matthew: i visi puliti, immacolati e sorridenti di pubblico e coristi trovano la loro più felice antitesi nelle tumefatte, esauste espressioni facciali del Nostro, così come nella celestiale rivisitazione di ‘Jesus Lover Of My Soul’ viene ‘incastrato’, in sottofondo, un corpo di fiati stonati, quasi rasentanti la cacofonia. Nessuna tendenza all’‘over-acting’: in questo script è assolutamente proibito qualsiasi tipo di esasperazione recitativa ‘gonfiata’ in classico ‘american-style’: in altri termini: assisteremo al trionfo del minimalistico.

…e tutto ciò non può che concludersi con una zummata insinuante e progressiva, che parte dall’alto per poi sfociare nel fotogramma finale (stoppato) inquadrante una goccia di sudore che sta solcando la guancia sinistra del Nostro: zummata scandita da sincopate ansimazioni che via via aumentano in volume ed intensità, fino a consumarsi del tutto.

Poi… solo sordo silenzio:  il tempo si è fermato. Ma la lunga notte di Matthew ancora no.

Titoli di coda, ‘scortati’ da un inquietante sottofondo di tromba dagli stralunati sali-e-scendi, aventi la stessa carica emotiva di un lento, lungo, gelido brivido sulla schiena…

 

TELEMACO PEPE (LUCA COMANDUCCI)

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