23-09-2005
A
PROPOSITO DI ‘HAIR’…
by
Alan J-K-68 Tasselli (Luca Comanducci)
Molti
hanno in mente (purtroppo) solo la versione cinematografica del celebre musical
improntato sulla indissolubile (per i tempi) triade ‘peace, love and
music’. Pochi (anzi, pochissimi) sono a conoscenza dell’edizione
teatrale datata 1968, essa illuminante specchio dei tempi, magistrale sintesi
del movimento ‘flower-power’, colonna sonora di una generazione in bilico
tra tragedia ed utopia, morte e ‘joie de vivre’, sangue e speranza. Musica e
guerra. Quella guerra, combattuta in Vietnam, che si innalza a drammatico
epicentro narrativo in ‘HAIR’, confluente in quel finale da crepacuore: il
contrasto tra le note di ‘Let The Sunshine In’ e l’immagine che fissa la
lapide dell’hippie Berger/Treat Williams caduto in Vietnam (per l’a voi noto
scambio d’identità con Claude/John Savage) costituisce un esemplare tripudio
di armonia e decadentismo, sogno e libertà frantumata, illusione e disillusione
che si rincorrono all’infinito.
‘HAIR’
(il film) esce nel 1979, con 11 anni di imbarazzante ritardo rispetto
all’edizione in vinile, trasposizione, a sua volta, dello spettacolo teatrale
immortalato nel ‘68. A questo punto ci si dovrebbe chiedere, quanto mai
laconici e frastornati: quale dilatazione temporale più imbarazzante,
concernente un’opera figlia del proprio tempo ora intercalata in una
dimensione musicale, sociale e contenutistica in aberrante antitesi rispetto a
quella ‘fotografata’ nel ’68? Le ragioni di tale ritardo sono a me ignote,
ma non è questo, ciò di cui voglio dibattere. Fa semplicemente ribrezzo
riascoltare ‘AQUARIUS’ riarrangiata in piena ‘disco-fashion’: non
discuto l’eccellenza melodica del brano, piuttosto sottolineerei la sua
sconcertante perdita di sincerità: uno degli inni-hippie per antonomasia
tramutato in una dance ammiccante e ballabile (d’altronde, 1979 = piena
era-Disco-Music, praticamente ogni essere del pianeta era sotto l’influsso del
‘travoltismo’ più
sfrenato…)… Non vi sembra una contraddizione in termini di sentimento e/o
ideologia musicale? Sarebbe, tanto per intenderci, come trasformare ‘Sgt.
Pepper’ dei Beatles in un prodotto ‘techno-pop’ all’ultima moda…
alias: un’esecrazione in termini puramente artistici: qui varrebbe
l’equazione ‘esecrazione artistica = prodotto commerciale’ (con,
annesse, ampie dosi di propaganda e ruffianeria tipiche dell’industria
cinematografica americana).
Il
sottoscritto ha ascoltato entrambe le produzioni associate al fenomeno
‘counter-culture’ per antonomasia e, candidamente, non ha alcuna remora a
decretare la superiorità (sia contestuale, che musicale/emozionale) della
versione teatrale (uscita in vinile proprio in quel 1968, l’anno di ‘passione’
giovanile par excellence) rispetto a quella cinematografica del ’79. La
componente principale che dovrebbe teoricamente indurre l’ascoltatore di
turno, nello specifico caso di ‘HAIR’, a preferire l’Original Broadway
Cast alla pellicola di oltre un quarto di secolo fa è la sua freschezza:
un tale turbinio di sentimenti così
meravigliosamente contrastanti tra loro non poteva che essere pienamente
assorbito solo se immersi (in prima persona) nel contesto (sociale e politico)
in cui ‘Hair’ fungeva da parallelo alle tragiche, reali vicissitudini
vissute dai giovanissimi soldati americani mandati al massacro dal Governo
Statunitense. Perciò giudico ideologicamente insensata (oltreche’
‘socialmente pacchiana’) la scelta di rappresentare un preciso, cruciale ed
altamente caratteristico spaccato di storia contemporanea a così tanti anni di
distanza: ‘HAIR – The Movie’, ai miei occhi (saturi) cuore (inacidito) e
mente (spossata), non è che l’ennesima trovata commerciale voluta da un
marketing cinematografico spietato, irrispettoso nei confronti di chi, la ‘contro-cultura’,
l’ha fatta e vissuta in prima persona. Se nella versione teatrale i solchi
trasudavano sangue, lacrime, utopia, speranza, rivolta verso l’establishment,
in quella cinematografica i brani riediti e rivisitati per l’occasione non
trasmettono la stessa emozione, lo stesso inconfondibile pathos di dieci anni
prima; gli arrangiamenti scarni nonche’ l’immediatezza esecutiva
dell’edizione broadwayiana risulta essere in aberrante contrasto con le
partiture stravolte, laccate, certosine e smaccatamente ‘ripulite’ della
soundtrack cinematografica.
In
termini strettamente musicali, ‘HAIR’ è un caleidoscopio di colori,
immagini e sensazioni, all’interno del quale viene esplorato il sentimento
umano a 360°: ivi vengono solennemente mescolati metafisica e balli rituali,
incertezza per il futuro e celebrazione del presente, un contagioso,
irrefrenabile ‘inno alla vita’ ed ai suoi ‘dolci eccessi’. Il trasporto
musical-emotivo è, a tratti, irresistibile, debordante, inebriante, un
eccitante, ‘lisergico’ sali-e-scendi sovraccarico di euforia e di benefica
follia. I protagonisti di ‘Hair’ sono consci della tragica insicurezza che
un misterioso quanto assai poco rassicurante futuro ha in serbo per loro: ma non
è, il futuro, l’oggetto in questione dell’opera, piuttosto un’esaltazione
di quel ‘mentre’ a cavallo tra il ‘prima’ ed il ‘dopo’, sorretta da
un desiderio di sospensione temporale esso stesso sinonimo di utopia (qui intesa
nella più larga accezione del termine). ‘Hair’ è un concentrato di musica
e realtà parallele, tra loro intersecantesi, ove la cruda realtà si mescola
con il sogno e l’inquietudine di una generazione che cerca, affannosamente, di
sopravvivere a se stessa.
Sono passati quasi 40 anni: quel sogno è stato prima ‘spezzato’, poi frantumato, infine sep0lto e dimenticato dal tempo, sostituito dal materialismo di una società sempre più devota all’autodistruzione; non si avvertono che timidi, quasi impercettibili echi, figli di quell’incredibile desiderio di sovversione giovanile massima espressione profusa da una generazione in costante, spasmodico bisogno di evolversi. E’ morto, si, è morto quell’ideale; ciò che conta realmente è che non muoia l’indescrivibile impulso emotivo che solo una melodia come ‘Let The Sunshine In’ è in grado, immutabilmente, di trasmettere all’ascoltatore anche ad oltre 7 lustri di distanza.
ALAN
J-K-68 TASSELLI (LUCA COMANDUCCI)
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