29-09-2004

 

 

  'SACCO E VANZETTI'

Una storia di ordinaria follia giudiziaria

 

 

«Mai vivendo l'intera esistenza avremmo potuto sperare di fare così tanto per la tolleranza, la giustizia, la mutua comprensione fra gli uomini». (Bartolomeo Vanzetti)

 

 

‘SACCO E VANZETTI’, ed a molti di voi probabilmente non verra’ in mente nulla o quasi. Anche il sottoscritto non puo’ fare a meno di ammettere che, prima di imbattersi nello splendido resoconto cinematografico di Giuliano Montaldo, pochissimo sapeva di questi due immigrati sbarcati in America agli inizi del Novecento in cerca di fortuna, due fra i tanti casi di immigrazione transoceanica che erano soliti avvicendarsi copiosamente a cavallo tra il 19° e 20° Secolo.

Nicola ‘Nick’ Sacco e Bartolomeo ‘Bart’ Vanzetti erano rappresentanti di quel ceto operaio, poverissimi e costretti sin da giovanissimi a compiere orari di turno massacranti (dalle 10-12 ore in su) solo per portare a casa una misera paga che a stento sarebbe stata sufficiente per tutto il mese.

Erano, Sacco e Vanzetti, quelli che una volta si definivano, con un pizzico di orgoglio e romanticismo, ‘uomini tutto d’un pezzo’, a sottolinearne esemplare forza di volonta’, assoluto spirito di sacrificio, forte impegno politico, coraggio, intraprendenza e, soprattutto, un impagabile senso di onesta’ e correttezza verso il prossimo. Per loro sfortuna, si trovarono, al momento dell’arresto, ‘ingabbiati’ in un contesto politico-sociale assai drammatico ed incerto: nell’anno (il 1920) in cui prende avvio la narrazione della assurda Odissea vissuta dai due immigrati italiani, in America impazzava una sindrome denominata ‘red scare’ (‘terrore rosso’) ovvero quella particolare ‘sudditanza psicologica derivante dal terrore suscitato dal Comunismo’, sindrome poi sfociante in estreme manifestazioni di avversione nei confronti dei cosiddetti ‘rossi anarchici’. Gli Americani, da sempre fervidi ed ottusi conservatori, cominciarono ad auto-proclamarsi ‘vittime’ di complotti orditi da simpatizzanti comunisti, considerati, questi ultimi, frangie anti-democratiche rivoluzionario-estremiste: nella stragrande maggioranza dei casi (quasi sempre, a dir la verita’) non si trattava altro che di una ‘volgare, pretestuosa messinscena politico-razziale’ instaurata e voluta da un Sistema che si professava come il piu’ democratico al mondo ma che in realta’ non rispettava le idee e parole altrui.

Nick Sacco e Bart Vanzetti erano due anarchici convinti: credevano nella liberta’ dell’uomo in quanto persona avente il diritto di manifestare autonomamente la propria opinione, ma (rigorosamente) senza il ‘beneficio’ della violenza. Gia’, la violenza: perche’, secondo le immortali parole pronunciate da Vanzetti durante il processo, ‘anarchia significava soprattutto liberta’ dell’uomo senza fare ricorso alla violenza; anarchia vuol dire un mondo senza barriere ne’ pregiudizi di ordine razziale, politico, sociale: un mondo senza distinzione di classi, tanto per intenderci’…

‘SACCO E VANZETTI’ offre, ad anni di distanza dall’accaduto, uno spietato, lucido, mai retorico spaccato sull’ipocrisia di un Sistema Giudiziario ‘infognato’ in feroci interessi politici e propagandistici: il Comunismo veniva visto dagli americani come il Demone da esorcizzare, quanto, cioe’, di piu’ sbagliato, sia ideologicamente che politicamente, potesse infiltrarsi nella coscienza del popolo a stelle e strisce.

Giuliano Montaldo, attraverso una ricostruzione fedele dell’epoca, punta, in maniera caustica ed inequivocabile, il dito verso una societa’ corrotta e malata sin dalle viscere, a proprio agio nello ‘sguazzare’ in mezzo ad oceani di ipocrisia e faziosita’, pregiudizio e abominevole razzismo. L’impietosa, feroce accusa di omicidio mossa ai danni di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti risulta essere un magistrale esempio di ‘crimine fondato sul Nulla’, una ‘fanta-accusa’: ovvero una denuncia incentrata su di un fatto mai commesso. MAI. Si trattava, in sintesi, di scegliere due poveri, umili immigrati qualunque, tra la folla di anarchici presenti a Boston, onde ottenere due capri espiatori dei quali la Giustizia americana si sarebbe servita per fini propagandistici atti a scoraggiare, reprimere il temutissimo, odiatissimo movimento anarco-comunista. A questo punto mi permetto di affermare che il vero crimine, sociale, politico, ideologico ed umano, commesso dal Sistema Giudiziario americano, oltre a quello di aver condannato a morte due innocenti,  fu l’aver irrimediabilmente confuso (prima), inquinato e traviato (poi), le menti di milioni di onesti cittadini americani, facendo credere loro di potersi fidare ciecamente di un irreprensibile, super-partes, apparentemente incorruttibile organo legislativo.

Memorabili le interpretazioni dei due protagonisti, Riccardo Cucciolla (Sacco) e Gian Maria Volonte’ (Vanzetti), i quali conferiscono ai due martoriati italiani grande credibilita’ e spessore, senza eccedere (questo, aspetto fondamentale) in ‘over-acting’ o fastidiose accentuazioni drammatico-recitative (pomposi americani, prendete nota, please!!!…). Sia Cucciolla che Volonte’ si dimostrano impeccabili e commoventi nel tratteggiare, con acuta sensibilita’ interpretativa, quello stato di dolore, misto a brevi ma illusori accenni di speranza, a cui segue un feroce senso di rassegnazione, un sentimento di greve impotenza di fronte alle diaboliche, disumane ‘congetture politico-giudiziarie’ della Corte. ‘Noi, anche dopo morti, vivremo nelle coscienze della gente, noi rimarremo nella loro memoria, mentre voi giudici e protagonisti di questa incredibile farsa scomparirete per sempre…’ – a grandi linee sono queste le splendide parole di profezia, pronunciate con ammirevole fermezza e lucidita’ da Vanzetti/Volonte’, che tradiscono un orgoglio quasi di stampo ‘epico’.  Certo, hanno rubato loro la vita, hanno privato loro della propria dignita’ ed onesta’, ma di una cosa nessuno pare nutrire alcun dubbio: a Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti non verra’ (MAI) negata la memoria: l’indissolubile ricordo legato a due martiri che sono stati giustiziati solo perche’ anarchici. Non vi e’, francamente, una grande differenza, sia umana che ideologica, tra i soprusi e le malvagita’ perpetuate con orrore e crudelta’ ai danni del popolo nero africano, durante il periodo di schiavitu’, ed il trattamento riservato a Sacco e Vanzetti: in entrambe le circostanze, il comune denominatore e’ costituito dal pregiudizio razziale di una Nazione gia’ corrotta sul nascere, in quanto incapace di accettare, riunite in un unico territorio, multi-etnie e culture assai dissimili e contrastanti tra loro.

Piu’ una denuncia sull’abuso di potere, che un appassionante, epocale legal-thriller. Piu’ una storia di ordinaria follia giudiziaria, che semplice cronaca di un processo deciso settimane prima a tavolino.

Cio’ che realmente spaventa ed incupisce, alla fine della pellicola,  e’ la consapevolezza di spaesante incertezza che si instaura nella mente dello spettatore: come mai ci dovremo comportare, di fronte a quella Legge apparentemente garante dei nostri diritti umani che, come piu’ spesso il passato ha dimostrato, potrebbe ‘capovolgersi’ e ‘ridimensionarsi’ anche solo a causa di un credo o religione diversi?…A chi mai dovremo rivolgerci? Tutti noi potremmo essere le persone piu’ oneste e rispettose al mondo, ma una volta davanti al Grand Jury, chi ci garantira’ la trasparenza etica/professionale/intellettuale di avvocati e giurati senza che questi non siano stati anzitempo corrotti e piegati da un Sistema ‘occulto’ il quale ha gia’ provveduto a programmare il nostro futuro?…

 

ALAN J-K-68 TASSELLI (LUCA COMANDUCCI)

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