18-10-2004

 

 

‘CABARET’ secondo Alan J-K-68 Tasselli

 

… ovvero: la celebrazione del folgorante istrionismo di Liza Minnelli: un ammirevole 'tour-de-force' recitativo, coreografico e canoro attraverso il quale la piccola attrice newyorkese fornisce un ritratto di rara intensita', passando, spesso in un batter di ciglia (truccate, of course), dal pianto piu' sofferto e struggente al sorriso piu' smagliante e seducente, senza smarrire un solo briciolo di classe e forza espressiva.

'CABARET' (diretto da BOB FOSSE nel 1972) ad oltre 30 anni dalla sua uscita rimane un esempio da manuale nel campo del 'musical cinematografico', un magistrale concentrato di antico divismo hollywoodiano, frizzante melodramma, musical ed atmosfere deliziosamente 'glam': una pellicola 'transgenerica', un musical dentro un'opera cinematografica o, se preferite, un'opera cinematografica dentro un musical.

Mai il concetto di ‘glam’ ha avuto una cosi’ felice e lucida rappresentazione cinematografica, e Liza Minnelli non poteva che essere la ‘perfetta glam-star’, attorno alla quale ruota una carica di ambiguita’ e sessualita’ travolgenti, un sali-e-scendi emotivo in cui realta’ e finzione della protagonista trovano un ideale punto di incontro, senza mai separarsi: raramente si avverte la differenza tra palcoscenico e vita privata: uno e’ la continuazione dell’altra, in un susseguirsi di lente carezze, sontuosi baci, svenevoli dichiarazioni d’amore, strazianti sorrisi dal fascino non comune, lacrime piante da quegli occhioni cosi’ unici della Minnelli che costituiscono, insieme ad un viso teneramente irregolare e certamente non irresistibile, un polo magnetico capace di tenere incollata la propria adorante platea, in perenne, quasi sadica, caccia di quell’ambiguo, pomposo erotismo notturno di cui lei e’ la regina incontrastata.

‘CABARET’ e’ un continuo sovrapporsi di ‘slanci d’ego’ che fungono da filtro all’instabilita’ emotiva della protagonista: un’altalena di illusioni ed utopie che, sorrette, ‘incorniciate’ da ‘chiaroscuri’ formati dal contrasto tra l’abbagliante luce del palcoscenico e la silenziosa oscurita’ di notti abbandonate al ‘dolce peccato’, costituiscono l’anima del film: un perpetuo scontro tra l’effimero, simbolicamente ‘ritratto’ dalle sfarzose coreografie e balletti in cui si alterna, frizzante e magnetica piu’ che mai, Sally/Minnelli, e l’amara consapevolezza di una realta’ off-stage fatta di eccessi, ambigue relazioni sentimentali, fumo e droghe di ogni tipo, ma avente nessuna certezza ne’ ben definiti spiragli per il futuro: sorta di ‘metacinema’, spettacolo dentro un altro spettacolo, a cui fa da sfondo una cupa scenografia, dominata da un clima di incertezza politica: il film infatti e’ ambientato nei primi anni ‘30,  periodo di transizione tra gli ‘anni ruggenti’ appena conclusisi, ed il regime nazista in costante ascesa: CABARET e’ anche specchio di questo lento ma ‘palpabile’ travaglio politico-generazionale, e, man mano che ci si avvicina al finale della pellicola, lo spettatore avverte un senso di incombente frustrazione ed inquietudine, parallelamente agli sbalzi umorali e crescenti disillusioni di Sally e Brian: di fronte ad un tale progressivo mutamento i due protagonisti non possono che sentirsi spiazzati, inerti, confusi e sempre piu’ soli: ‘Che ne sara’ di loro?’ – una domanda che rimbalza ossessivamente da un angolo all’altro della nostra coscienza. Il film infatti si conclude lanciando un monito di insicurezza, raggelante presagio dell’ascesa di un nuovo spietato, crudelissimo Re e Regime, un quadro in netta, sferzante antitesi con le atmosfere ‘glam-dandy’ della prima, delirante, passionale, frivolissima parte.

Nota di merito a parte per Joel Grey, ‘The Master Of Ceremonies’, l’unico personaggio in grado di rubare, seppur solo a tratti, il debordante status iconografico della Minnelli: l’istrionismo e ‘demoniaca ambiguita’’ ‘gettata’ sul pubblico del ‘KIT-KAT CLUB’ e’ quanto di piu’ estroso ed al contempo professionale si possa richiedere ad un VERO uomo di spettacolo: la sua figura, cosi’ perversamente, beffardamente in bilico tra acuta dissacrazione del regime nazista e  massicce ‘over-doses di auto-celebrazione’ (un ‘complesso’  fin troppo caro e comune a molti dei piu’ grandi entertainers della storia) non puo’ che condurre ad un giudizio unanime: ‘THE PERFECT ENTERTAINER’, ‘Il Perfetto Entertainer’.

In conclusione: Freddie Mercury deve averlo amato alla follia!!…

 

ALAN J-K-68 TASSELLI (LUCA COMANDUCCI)

 

Questo testo è depositato presso www.neteditor.it e quindi coperto da diritti d'autore. 
Esso non potrà essere riprodotto totalmente o parzialmente senza il consenso dell'autore stesso.