13-12-2004

 

 

 

‘SUSSURRI E GRIDA’ secondo Alan J-K-68 Tasselli

 

Imbattersi in 'SUSSURRI E GRIDA' e' stato come scendere negli inferi di una mente violentata, laggiu', in fondo ad un baratro dove la purezza del sentimento ed il candore dell'emotivita' annaspano sempre piu', fino a venire schiacciate dal peso, insopprimibile, di una gelida rassegnazione.

Ingmar Bergman attua uno sconvolgente, freddo 'stupro dei sentimenti', rivelando, attraverso i suoi destabilizzati personaggi, il desiderio, sempre piu' invadente, di concedersi, per l'eternita', all'oblio, oramai unica certezza acquisita, unico 'valore' portante di una 'non-umanita'' che non fa che contorcersi su se stessa, implacabile, inesorabile, inarrestabile. 'SUSSURRI E GRIDA' funge da allegoria sulla 'morte dell'essere umano' in quanto tale, appunto perche' egli ha definitivamente cessato di ricevere (e quindi trasmettere) sensazioni, pulsazioni, ricordi: egli diverra' una 'macchina del dispiacere', funestato da raccapriccianti rammarichi, divelto da infinite menzogne, spento, consumato dall'odio verso il prossimo. Auto-distruzione dell'anima, lasciata essa 'crepare' lentamente, strisciante come vermi su di un sudicio marciapiede, agonizzante quanto uno schiavo torturato, prima, seviziato, poi, fino allo spegnimento definitivo dei sensi. Cosi' come il corpo defunto di Agnese secondo dopo secondo ammuffisce, la sensibilita', gia' da tempo irrimediabilmente corrotta, di Karin e Maria, subisce un progressivo stato di decomposizione, divenendo esse stesse la quintessenza della neutralita' emotiva, due donne dall'inetta moralita', sovraccariche di superbia e rancore, dedite a forme di implicita, ma al contempo devastante, lussuria: la noia e graduale, conseguente disillusione di una vita vuota ed incolore, piatta ed inespressiva, assumono la forma di feroci 'sanguisughe del sentimento umano': divorano, con ritmo sempre piu' possente, quel briciolo di lucida emotivita’ rimasta: il loro non e' un calvario dissimile da quello affrontato poche ore prima dalla sciagurata Agnese: un calvario sorretto da imprecazioni, vergognose ritrosie, allarmanti, gelidi sensi di colpa, patetici, ultra-stucchevoli tentativi di riappacificazioni contornati da futili perdoni, e poi di nuovo accuse, maledizioni, assenti e glaciali sguardi di fronte ad uno specchio sul quale sembra non apparire alcuna immagine... tutto all’insegna di una ‘quasi-illogicita’’ del comportamento’ che a tratti rasenta una macabra, allucinante follia: e’ come se i corpi delle due sorelle subissero continue, incessanti possessioni demoniache: un ‘diavoletto capriccioso’ , intento a divertirsi, con sommo, feroce sadismo, nel passare da una mente all’altra, conferendo ad entrambe una vasta gamma di contro-sensi ed assurdita’ del pensiero talvolta da risultare quasi grottesche.  'La vita non e' altro che un insieme di bugie...soltanto bugie' - esclama, con tono figlio legittimo della piu' incomparabile rassegnazione, la cinica Karin, una profezia, piu' che frase rivelata in un momento di particolare sconforto, che lascia intravedere l'UNICA soluzione possibile onde porre fine a questo ‘stillicidio dei sentimenti’: il suicidio, o perlomeno, la fantasia che si ha di esso, in quanto estremo gesto di liberazione dell’anima da una condizione di insopportabile schiavitu’ indotta da una esistenza che pare non avere piu’ sentieri espressivi da percorrere.

‘SUSSURRI E GRIDA’ e’ un’elegia al ‘decesso della passione’, una spiazzante rappresentazione cinematografica dall’intercedere ossessivo, sottilmente gotico, a tratti onirico e ‘maledetto’: uno scenario di ‘false partenze ed arrivi dell’animo umano’ che non necessita di alcun accompagnamento sonoro, in quanto sono le stesse inquietanti, ficcanti bisbiglia a fungere da ‘contorno musicale’, certo, una scelta stilistica provocante un inedito magnetismo, una ‘amusicalita’’ che si sposa idillicamente con la torbida obliquita’ del contesto narrato. La messa-in-scena cruda e minimalista acquista progressivamente colori deformi, deformi come i propositi delle due perfide sorelle: trattasi di ‘non-propositi’, lasciati vagare in una ‘terra di nessuno’, nella quale verranno presto risucchiati, repressi, abbandonati. Fino al loro piu’  impietoso annullamento. Tale feroce impotenza morale viene inferta allo spettatore alla stessa maniera di Karin che, attraverso un gesto di sconvolgente, inaudito masochismo, fa penetrare, con malefica lentezza, un coccio di vetro all’interno del proprio pube, lasciando intendere una morbosa ‘attrazione da suicidio’. Non mi era mai personalmente capitato di assistere ad una simile interpretazione artistica sul tema dello sconforto esistenziale, un acido ‘quadro di vita’ in grado di abbinare violenza fisica a violenza psichica. Una pellicola del genere rimane e rimarra’ fuori da ogni contesto cinematografico ‘ordinario’, cosi’ come gran parte della produzione di Bergman.

Ma in mezzo a questo vortice di terremotante, efferato ‘debordar d’ego e dissoluzione’, acquista luce propria il personaggio di Anna, la governante della mansione, la figura spiritualmente piu’ in simbiosi con la morente ed agonizzante Agnese: quest’ultima rievoca in lei l’antica dolcezza ed espressivita’ umana della madre: conseguentemente, Anna assurge a ‘simbolo di isolata utopia’: gli unici, autentici sprazzi di comprensione e sensibilita’ provengono dal suo cuore di semplice popolana suo malgrado al servizio di spocchiosi, maligni ed ingrati riccastri cortigiani. 

Non potra’ apparirci casuale, infine, la scelta di Agnese in qualita’ di ‘martire prescelto’: delle tre sorelle ella e’ colei che ha ricevuto meno affetto ed attenzioni da parte della adoratissima, divinizzata madre, morta da oltre 20 anni: un percorso esistenziale retto da tetra, amara solitudine, in perenne bilico tra gli egoismi ed efferati estetismi di Karin e Maria e l’assoluta contemplazione e devozione del mito materno. Con Agnese se ne andra’ via, e per sempre, una figura di accesa spiritualita’, un corpo animato da estremo fervore e smisurata considerazione, ma al contempo minato da oscura malinconia: in sintesi, la netta antitesi alla vomitevole, debordante, nauseante altezzosita’ e civetteria delle due sorelle, costoro solo in apparenza piu’ forti ed autoritarie, in realta’ anime fragili e colme di peccati mai del tutto espletati, portatrici di una ambiguita’ solo parzialmente decriptata e portata alla luce.

…quella stessa ambiguita’ che rischia pedissequamente di contaminare i nostri palpiti emotivi: dove mai potranno andare a finire, se non sul fondo di quel baratro?…

 

ALAN J-K-68 TASSELLI (LUCA COMANDUCCI)

 

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